miércoles, 28 de octubre de 2015

Il Conformista (Estratto) - Alberto Moravia

ome si diventa «asassini»? Si comincia con delle innocue lucertole, poi si uccide un gatto... e si finisce per amazzare anche l'uomo, come l'inevitabile avverarsi di una premonizione: un pervertito, in fondo, un essere disgustoso, un prete spretato, un «diverso» che insidia l'innocenza di un bambino. Ma essere umano.
E Marcello è un bambino speciale, come speciali sono spesso i bambini che nascono nelle case di una classe «superiore», nelle quali aleggia la decadenza di una genìa in disfacimento. Il padre di Marcello è impazzito (letteralmente) d'amore per la moglie, edonista e infedele, una madre che ama il proprio bambino distrattamente. In mancanza di una guida valida, in una fase delicata dello sviluppo, in balia dei luoghi comuni e delle superstizioni della servitù, Marcello crea un collegamento tra la propria estraneità ai compagni e l'infantile transitoria crudeltà dei suoi giochi solitari. Il desiderio di normalità è «una voglia di essere simile a tutti gli altri, dal momento che essere diverso voleva dire essere colpevole».
Ma non c'è come il desiderio di essere in qualche modo per innescare comportamenti opposti. Marcello diventa un esperto di normalità, che sa riconoscere e apprezzare nelle sue molteplici forme, di cui si circonda come se fosse, non la negazione dello stile, ma -in contraddisione con le proprie intenzioni - uno stile in se stesso: il lavoro al ministero (funzionario di polizia con incarichi "speciali"), una fidanzata piccolo-borghese, con una casa piccolo-borghese, con una storia piccolo-borghese di stupri sopportati da parte dell'attempato «amico di famiglia». Giulia e Marcello si avviano a un matrimonio piccolo-borghese, con tutto l'abbigliamento, il menù, la lista di anonimi e grigi ospiti piccolo-borghesi e la cerimonia in una «chiesa molto ricca ed ornata, [...] dedicata ad un santo della controriforma». Sono questi «gli scacchi di una normalità che andava ricostruita faticosamente, dubbiosamente, sanguinosamente».
Il «classico» viaggio di nozze a Parigi è un'occasione ideale per portare a termine una missione importante.
Moravia, in una lettera a Prezzolini, datata alla fine del ’49, scrive: «Io ho finito un lungo romanzo che si chiama il Conformista e ora lo riscrivo. Uscirà verso la fine del 1950, spero». Nel gennaio, febbraio ’51 la rivista «Comunità» pubblica Il conformista. Racconto di A. Moravia, quasi contemporaneamente all’uscita del romanzo, ma il racconto non ha una vita propria, e altro non appare (come sostiene Tornitore) che un capitolo del romanzo stesso.
Il protagonista ha quasi la stessa età dell’Autore - ma lo stesso Moravia rivelerà in un’intervista a Elkann, di non ricordare molto del periodo in cui si svolge l’infanzia di Marcello - e la storia si dipana dagli anni venti fino alla caduta del fascismo. Questo darà luogo a qualche incongruenza tra la giovane età di Marcello e gli incarichi importanti che gli vengono assegnati nella sua veste di funzionario del Servizio Segreto. Incongruenze peraltro impercettibili, in una storia che, alla maniera moraviana, segue binari lucidi e totalmente privi di asperità, eppure, forse talvolta ignoti allo stesso scrittore, che amava affermare, a proposito di altre sue opere, di aver cominciato a scrivere «senza alcun piano preciso».
Lo stile, pur chiaro e asciutto come solo una meditata semplicità può produrre, in questo romanzo appare forse meno «arido», meno da «Codice Civile» – accusa e sommo elogio che accompagnò sempre il giudizio critico su Moravia - e, soprattutto nel racconto dell’infanzia di Marcello e in alcune descrizioni centrali dell’opera, sembra ammorbidirsi e addolcirsi in echi quasi ottocenteschi. La penna si accanisce a volte su certi personaggi con un piacere che lascia trasparire la personale comica insofferenza dell'autore per questa normalità da operetta, che va ritraendo così magistralmente. Così la suocera è «una donna corpulenta, in cui i cedimenti dell'età matura parevano manifestarsi in una specie di disfacimento così del corpo come dell'animo, il primo afflitto da una grassezza tremolante e disossata, il secondo inclinato agli sdilinquimenti di una bontà fisiologica e smancerosa».
E quasi da un angolo della Comédie Humaine, sembra a tratti ritagliarsi la personalità complessa e sfaccettata del protagonista: la sua ansimante ricerca di una normalità che lo riscatti dalla follia del padre, dall’influsso negativo della madre, e dalla sua propria deviazione interiore, che lo spinge alla violenza, vera o presunta.
«Normalità», d’altra parte, significa, per Marcello, non avere idee quasi su niente: «…Questa convinzione gli era venuta dal nulla, come è da credersi che venga alla gente ignorante e comune; dall’aria, insomma, come s’intende quando si dice che un’idea è nell’aria». O piuttosto, l’impossibilità di provare altri sentimenti se non l’orrore, il ribrezzo verso l’anormalità e tutto ciò che in qualche modo può rammentargliene la presenza nel suo stesso passato. O forse ancora, la malinconia che sembra accompagnare qualsiasi riflessione: «…E la sua malinconia era la malinconia, appunto, mischiata di rimpianto che suscita il pensiero delle cose che avrebbero potuto essere e a cui, scegliendo, bisognava per forza rinunziare».
Perfino il breve attimo di confusione amorosa per Lina - la donna del professore che Marcello dovrà uccidere a Parigi - conclusosi davanti al traumatizzante spettacolo degli ambigui, disperati comportamenti di lei, non potrà che disperdersi in un’amara e generica considerazione sull’assenza d’amore tra gli esseri umani, comune fattore di vacuità, e cioè di normalità universale.
Il finale, corposo, risolutore, non lascia spazio ad aperture verso altre soluzioni, che non siano quelle che Marcello stesso propone: «…Ma avrebbe voluto esser sicuro che tutto quello che era avvenuto doveva avvenire; cioè che egli non avrebbe potuto puntare in modo diverso né con esito diverso: di questa sicurezza aveva bisogno più che di una liberazione dai rimorsi che non provava.».


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